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La città riflessa

La pioggia porta riflesso il mondo al contrario, predominio delle pozzanghere. Quel riflesso, come diceva Monet, è molto più reale, perché partecipe del molteplice divenire delle cose. La non definizione ammorbidisce le linee, gli angoli stondano il verso e si scivola fra le paraste e i pilastri. Le colonne si sdoppiano in un mutuo dialogo fra visibile ed invisibile.
La pioggia che lava gli spigoli erodendone le asperità, riflette come in una foto color seppia l'antica vicenda della vita. Antica per circolarità, dove tutto avviene ciò che è già avvenuto. L'urbe si riconosce in quel ritmo lento degli scalini delle chiese che salgono verso l'auspicio ultimo della preghiera; le mille preghiere che vanno a formare la cupola divina delle voci umane, più grande di quella di S. Pietro e di S. Sofia. Nell'oculo da cui entrano le lacrime di Urano, al centro di quella sfera magica, il suono sale come in un camino ascensionale, nel coro del tempo che oscilla fra tempio e ecclesia e lì si unisce alla pioggia per riscendere nelle profonde viscere della terra. Scivola sul selciato il pensiero e ne riflette lo scalpiccio ligneo delle botticelle e quegli zoccoli per un secondo ancora rifluiscono nel passato senza il rombo assordante dei motori. Dalla sua cattedra vaticana oscilla il tempo indefinito e puro della Madre che si perde in una visione circolare fra sogno e realtà. E fra ieri ed oggi corre ellittico il pensiero dei giochi passati oggi divenuto scena per il piacere della memoria gloriosa di Roma. E come in un giostra infinita, persa fra cielo acqua e terra, sospesa come il ponte degli Angeli, ritorna questa pioggia a lavare solo in superficie la vera essenza della capitale che rimane, nonostante tutto sempre se stessa.

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