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Quell'antica pratica del reimpiego


Vagabondando per le vie di Roma avviene frequentemente di incontrare stratificazioni architettoniche, una sorta di edifici palinsesto, a dimostrazione della nostra lunga storia. Uno dei primi esempi di reimpiego architettonico è l'Arco di Costantino, realizzato a Roma nel IV secolo. È qui, al di sopra di fornici che per la prima volta si palesa il riciclo come unione di brani decorativi provenienti da diversi contesti: le statue di epoca traianea, i bei rilievi eseguiti sotto Marco Aurelio e Adriano ed infine le narrazioni di epoca costantiniana. Questo primo esempio di reimpiego è volto a valorizzare la figura del neoimperatore, reduce dalla vittoria su Massenzio e paragonabile ai più celebri imperatori romani. Ma non sempre lo spoglio ha una valenza simbolica. In modo più diffuso il riutilizzo di brani provenienti da altri edifici nasce da un'esigenza di ordine pratico che spesso ha determinato la distruzione degli edifici preesistenti e la successiva dispersione dei relativi arredi marmorei, soprattutto provenienti dagli edifici pagani. A chi non è capitato di trovare lastre marmoree, fette di colonne ed iscrizioni pagane direttamente utilizzate per la decorazione delle chiese medioevali? Però reimpiego non equivale solo e sempre a distruzione. Tale prassi ha infatti garantito la sopravvivenza di molti edifici romani, altrimenti scomparsi, senza altra menzione se non quella dei documenti cartacei. Un celebre esempio di quanto esposto è il Pantheon, trasformato nella chiesa di Santa Maria ad Martyres nel 609. Se tale trasformazione non fosse avvenuta la spoliazione avrebbe determinato la quasi totale dispersione dell'arredo decorativo e, come è spesso avvenuto, l'abbandono del monumento stesso, trasformandolo nei secoli in un misero rudere. Un esempio di reimpiego è quello offerto dal caso di S. Nicola in Carcere, edificio eretto intorno al VI secolo, sui resti di tre templi dedicati a Giunone Sospita, Giano e Spes. Lacerti di tali templi son visibili all'esterno della chiesa, inclusi lungo i muri perimetrali dell'edificio. Non sempre le strutture antiche sono visibili e, il più delle volte, si rivelano ai nostri occhi grazie a un'intuizione che sorge dall'osservazione delle forme impresse ad alcune piazze e all'andamento di alcune strade. Fra gli esempi a me più cari sono le forme semicircolari immerse negli edifici di via dei Giubbonari a perenne memoria del Teatro di Pompeo e il tracciato circiforme di Piazza Navona a ricordo degli spalti dello stadio di Domiziano.

Ma non sempre ciò che scompare lascia un segno, un suggerimento. Ci sono situazioni in cui l'utilizzo di materiali antico ha determinato la scomparsa di un'opera precedente. A tal proposito basti pensare al baldacchino della basilica di S. Pietro a Roma, messo in opera riutilizzando il bronzo una volta posto ad isolare la cupola del Pantheon? Quando le persone osservano il caso di Bernini rimangono scandalizzate. In effetti le ragioni del disappunto sono comprensibilissime, ma non del tutto condivisibili. La prassi dello spoglio ha intatti una sua motivazione su cui è opportuno riflettere. In primo luogo sappiamo che la caduta dell'Impero romano di occidente comportò il declino di molte strutture fra cui strade, acquedotti e terme. Viaggiare non era facile in queste condizioni e il trasporto, seppur per un breve tratto, era reso difficoltoso e rischioso anche a causa della presenza di briganti nelle campagne intorno alle città. Alla caduta dell'Impero di Oriente e anche prima del 1453, recuperare materiali che i Romani importavano da alcune regioni mediterranee, era diventato impossibile e poco sicuro per via dei mussulmani presenti in larga percentuale lungo le coste del Mediterraneo. Immaginate dunque di recuperare il porfido rosso lungo il Nilo; anche se lo aveste trovato, avreste dovuto fare i conti con gli arabi e quindi con i saraceni. Se solcare il Mar Nostrum era diventato poco sicuro, il riciclo rimaneva per molti l'unica alternativa possibile per la ricostruzione di una nuova città, quella Eterna che, come la Fenice, a partire dal XV secolo è risorta dalle ceneri stesse dell'antichità.

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