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Alcune riflessioni intorno a “l’Arlecchino allo specchio” in mostra alle Scuderie del Quirinale


Nel 1923 Picasso dipinse “l’Arlecchino allo specchio”, tela conservata presso il museo Thyssen-Bornemisza di Madrid e oggi in esposizione alla Mostra “Picasso fra Cubismo e Classicismo: 1915-1925” in corso fino al 21 Gennaio presso le Scuderie del Quirinale. L’opera risulta superba non solo per l’esecuzione classicamente ponderata e realistica, ma soprattutto per l’iconografia della maschera smascherata di Arlecchino. Arlecchino e Pierrot fanno parte di una sconfinata produzione di dipinti che a partire dal 1901 sono stati eseguiti dal pittore per rappresentare se stesso, suo figlio, i suoi amici e i suoi nemici. In Picasso la maschera di Arlecchino è significativa del dualismo esistenziale nell’uomo sempre in equilibrio fra bene e male. Come affermato da Nicola Fano nella pubblicazione «La tragedia di Arlecchino» (Donzelli editore) “Credo che quella dell’Arlecchino di Picasso sia in fondo la nostra stessa condizione: sappiamo farci delle domande ma non sappiamo darci risposte. L’intuizione dell’artista è tutta qui: le religioni e le ideologie (quelle che nel Novecento hanno avuto una risposta per qualunque domanda) non bastano più.“ La fascinazione che Picasso subì per la figura di Arlecchino, per la sua duplicità, deve la sua persistenza nel valore simbolico stesso della maschera che, ne porsi fra bene e male, fra apollineo e dionisiaco, diventa simbolo stesso di equilibrio. Arlecchino diventa mito in risposta ai dolori dell’esistenza, individuale e collettiva. Non a caso nel 1915 Jean Cocteau bussò a casa di Picasso, dilaniato dall’imminente morte della moglie Eva, vestito da Arlecchino perché immedesimandosi in Picasso e in particolare nel suo personaggio ideale aveva bisogno di comunicare qualcosa di importante all’amico, ossia l’invito a partecipare alla produzione di uno spettacolo da realizzare con i Balletti Russi diretti da Sergej Diaghilev. E fu così che dopo la morte di Eva nel 1916 Picasso realizzò il grande sipario dello spettacolo Parade che debuttò a Parigi nel 1917. Ma se ritorniamo all’Arlecchino allo specchio del 1923 sono necessarie altre considerazioni che completino quanto già messo in evidenza. Di tutte le caratteristiche di Arlecchino solo il cappello dell’opera conservata a Madrid realmente richiama la maschera, il volto è palesemente riferibile a Pierrot, figura molto amata da Picasso, mentre il vestito è quello dei trapezisti che Picasso e Apollinaire amavano andare a visitare dopo gli spettacoli, nelle loro baracche per accoglierne la solitudine e lo sradicamento, tema caro a Picasso. Il volto che inizialmente doveva essere un autoritratto, è smascherato, come se il volto stesso del personaggio ritratto fosse egli stesso la maschera dietro cui nascondere la dicotomia stessa dell’esistenza umana. Lo specchio infine suggerisce l’esigenza di non dimenticare di riflettere sulla vita, perché la riflessione e il pensiero nutrono la capacità di vivere in modo consapevole. Dunque un Picasso Arlecchino Pierrot saltimbanco, coagulo di esistenze lacerate ma non certo alienate dal mondo, un mondo che di domande a Picasso ne farà molte e a cui Picasso risponderà sempre con genialità e spirito creativo. Francesca Maria Pedullà

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