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Lo stagno delle ninfee di C. Monet

"Seguo la natura senza poterla afferrare; questo fiume scende, risale, un giorno verde, poi giallo, oggi pomeriggio asciutto e domani sarà un torrente" Claude Monet. Così il sogno di Monet di diventare giardiniere si esaudisce nel 1893 con la casa a Giverny. Le ninfee, i fiori di loto, gli iris, i papaveri, i narcisi, le verbene, le peonie e le campanule diventano il soggetto prediletto dei suo quadri, colte nella mutevolezza delle stagioni, in parte immerse nella trasparenza dell'acqua. L'elemento saliente della villa di Giverny è uno stagno dove Monet coltivò quelli che Proust definì “i fiori sbocciati in cielo”, le ninfee, delicate e tenaci, che sembrano scivolare sullo specchio lacustre e catturare e riflettere la luce in un caleidoscopio di colori. Il giardino diventa così una armoniosa sinfonia di luce ed acqua mosse dal lento fluire del tempo. La sua ossessione nel dipingere le ninfee divenne tale che verso la fine della sua vita scrisse “Non dormo più per colpa loro. Di notte sono continuamente ossessionato da ciò che sto cercando di realizzare. Mi alzo rotto dalla fatica […] dipingere è così difficile e torturante. L’autunno scorso ho bruciato sei tele insieme con le foglie morte del giardino. Ce né abbastanza per disperarsi. Ma non vorrei morire prima di aver detto tutto quel che avevo da dire; o almeno aver tentato. E i miei giorni sono contati”. Un forte senso di incompletezza accompagnò il pittore fino alla morte. Infatti Monet nel tentativo di fermare il fluire del tempo visse nel desiderio di fissare un’impressione, fino ad attendere il “domani”, giorno in cui sarebbe riuscito a dipingere il suo quadro più bello.

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