S. Crisogono: a Trastevere un paradiso sotterraneo
La basilica inferiore di S. Crisogono è un gioiello medievale che conserva testimonianze archeologiche e artistiche straordinarie la cui datazione è ancora oggi al vaglio degli studiosi. Per comprenderne l’importanza è necessario scendere cinque metri sotto l’attuale chiesa e immaginare Trastevere all’inizio del IV secolo. La vicinanza al porto e ai mulini, le continue inondazioni del Tevere facevano della XIV Regio Augustea il quartiere più povero della città e per questo caratterizzato da un ceto medio basso. Qui sorsero molti luoghi di culto cristiano quali innanzitutto il titulus Iulii et Callixti e il titulus Caeciliae costruiti con la finalità di creare centri di aggregazione e di assistenza per i bisognosi della zona. Il titulus Crysogoni si venne a inserire in questo particolare contesto sociale solo all’inizio del V secolo, quando il culto di s. Crisogono giunse a Roma da Aquileia per opera di Innocenzo I. In questa circostanza l’aula di una vecchia insula di II-III secolo venne riadattata a chiesa trasformando l’ambiente preesistente in un uno spazio a navata unica scandito da tramezzi utili a separare la zona dei fedeli da quella del presbiterio. Contestualmente furono aperte tre porte nella parete nord e il pavimento venne rialzato di 30 cm.
Nella seconda metà del V secolo l’aula originariamente di 30 metri fu prolungata fino a raggiungere 50 metri e completata con un presbiterio corredato da un abside e due ambienti laterali: il secretarium o sacrestia e il battistero, ricavato da una fullonica tardo antica i cui scolatoi sono visibili sul perimetro del corridoi della cripta anulare di VIII secolo.
Purtroppo di questa fase rimangono scarse testimonianza quali alcuni elementi di arredo come sarcofagi di ascendenza pagana reimpiegati e probabilmente provenienti dalle catacombe vicine.
Fra il VI e il VII secolo l'edificio è stato prima sottoposto a un importante intervento che ha riguardato il consolidamento delle pareti Nord e Sud dell’aula e quindi una ricca decorazione pittorica lungo le pareti.
Gli affreschi articolati su due ordini presentano nel registro inferiore una bassa tenda trasparente (velum) al cui centro è una croce gemmata e in quello superiore alcune scene del Nuovo e del Vecchio Testamento. Del registro superiore rimangono solo quattro scene eseguite sul muro sud e di queste solo una è leggibile: l’episodio raffigurante “I tre fanciulli alla fornace” accompagnato dall’iscrizione VOTUM SOLVIT eseguita lungo la fascia rossa che incornicia la scena. Questa tipologia di affreschi non è nuova a Roma, dove già a partire dal V secolo le basiliche presentavano un apparato figurativo di carattere moraleggiante: i fanciulli gettati nel forno, dopo tre giorni di preghiera resuscitano a vita, salvati dal loro fervore. La narrazione ha quindi il fine di insegnare a credere nella speranza e nella Redenzione attraverso la preghiera.
Fra gli interventi di restauro quello condotto nella metà dell’VIII secolo da Gregorio III è il più significativo sia sotto il profilo architettonico, che dal punto di vista decorativo. In particolare si provvide all'innalzamento del pavimento, alla realizzazione di un nuovo presbiterio, e ad una nuova decorazione delle pareti.
Gregorio III già presbitero della chiesa prima di essere eletto papa, affrontò con decisione i problemi che affiggevano la basilica: l’umidità e gli allagamenti causati dalle piene del Tevere. Sin dal III secolo la zona prossima alla chiesa era frequentemente allagata e spesso per accedere alla Basilica era stato necessario predisporre delle pedane rialzate che garantissero ai fedeli di non inzupparsi i piedi. Ai 30 centimetri precedenti se ne aggiunsero di nuovi e ancora oggi lungo la navata Nord è possibile distinguere sulle pareti i vari strati di intonaco sovrapposti a testimonianza dei cambiamenti del piano del pavimento.
A tale intervento Gregorio III aggiunse l’edificazione del presbiterio rialzato
con cripta anulare, analoga a quella fatta costruire da Gregorio Magno a S. Pietro due secoli prima. Questa tipologia di presbiterio rispondeva all’esigenza di conservare in un luogo protetto e facile da raggiungere da parte dei fedeli le reliquie dei santi martiri, in precedenza collocate presso le catacombe. La struttura, oggi chiaramente visibile dalle scalette che scendono dalla chiesa sovrastante, è costituita da due corpi semicircolari separati da un corto corridoio che conduce al luogo dove erano le reliquie di s. Crisogono, s. Agata e s. Rufo.
I santi sono rappresentati entro un porticato su un affresco che è stato realizzato sulla parete sinistra del corridoio centrale. Vi è un colloquio in corso fra i due santi, mentre s. Anastasia compare isolata fra due colonne. Le vesti regali con cui questi personaggi sono raffigurati fanno riferimento al loro accesso al regno dei cieli. Per questo s. Crisogono ha il pallio rosso e la clamide e s. Rufo veste una clamide rossa e una tunica gialla, mentre la santa appare in vesti regali come una principessa bizantina. Nulla rimane del pavimento del presbiterio tranne il piano d’imposta sopra il quale è fortunatamente ancora visibile una meravigliosa decorazione con un motivo a finto marmo costituito da dischi di porfido e di serpentino inseriti in losanghe.
Questo motivo sembra preludere al disegno del pavimento cosmatesco eseguito a distanza di tre secoli nel pavimento soprastante. Fra gli interventi eseguiti in questi anni va menzionato un ricco programma decorativo eseguito lungo le pareti tripartite a illustrare dal basso verso l’alto finte vele, clipei con ritratti dei santi e storie evangeliche. Gregorio III è un papa importante e, dopo la lotta alle immagini promossa dall’imperatore bizantino Leone III e la conseguente persecuzione dei monaci idolatri, opererà un forte cambio di direzione della Chiesa di Roma nei confronti dell’Impero d’oriente. La sua politica sarà infatti orientata a svincolare la Città Eterna dall’egida di Costantinopoli, per orientarsi verso l’alleanza con i sovrani occidentali.
I clipei diventano dunque parte del programma di valorizzazione delle immagini sante, contro l’iconoclastia orientale, per la valorizzazione della Chiesa e di chi opera nel suo seno. Contrario all’azione iconoclasta, Gregorio III protesse inoltre i monaci bizantini rifugiatisi nella città eterna e garantì loro protezione. E’ al suo tempo che fu costruito un monastero benedettino al fianco della basilica di S. Crisogono dove i monaci orientali trovarono ospitalità.
Ultimo atto di questo edificio così importante prima del totale abbandono è la decorazione ad affresco eseguita nella seconda metà dell’XI secolo al tempo di Stefano IX. Si tratta di un intervento pittorico realizzato sulla parete Nord in sostituzione dei clipei e delle storie dell’antico Testamento di Epoca gregoriana. E’ a questa fase che vanno riferiti alcuni episodi della vita di s. Silvestro, s. Benedetto e s. Placido e s. Pantaleone.
Fra le scene meglio conservate è senz’altro: s. Benedetto che guarisce il lebbroso e il Salvataggio di s. Placido, mentre degli episodi che rappresentano s. Pantaleone che guarisce il cieco e papa Silvestro che cattura il drago rimangono pochi dettagli mal riconoscibili. Le scene son scandite da partiture architettoniche che servono a inquadrare gli episodi e coglierne i punti salienti.
Nella guarigione del lebbroso il pittore modula un linguaggio ancora fortemente bidimensionale e alto medievale ad uno più vicino alla rinascita del XII secolo, teso alla contestualizzazione e al dialogo fra i personaggi. E’ un momento importante della pittura romana, quell’istante in cui tutte le contraddizioni convivono prima del classicismo romanico. Gli episodi con la loro enfasi narrativa rimandano alle storie di s. Clemente e s. Alessio nella basilica di S. Clemente, anche se sono probabilmente da attribuire ad artisti vissuti qualche decennio prima. Essi sono l’esemplificazione di un tipo di iconografia volta ad esaltare le gesta salvifiche dei santi, assunti a esempio di carità e fede. Le storie dei santi diventano dunque paradigma di un novo tipo di fedele che lasciando la contemplazione agisce per la salvezza dell'anima. Questi affreschi sono l’ultima testimonianza dell’attività artistica nella basilica prima dell’abbandono avvenuto nel 1124 quando, a causa dei cedimenti delle strutture, ai continui allagamenti e all’affossamento della struttura ormai sommersa dagli edifici circostanti, nella prima metà del XII secolo si decise di costruire un nuovo edificio.
E' a questo punto che la visita si conclude riportandoci al livello della chiesa attuale e lasciando alle spalle l'incanto di un millennio lontano e tutto ancora da scoprire.