La Cappella Niccolina: la Sistina del Palazzo Lateranense
"NON EST IN TOTO SANCTIOR ORBE LOCUS"
Eccolo il Sancta Sanctorum, il luogo dove son conservate le più importanti reliquie della cristianità, eretto come un tempio classico su un alto crepidoma. Le scale della Passione di Cristo, la Scala Santa, gli fanno da rampa di accesso. Fuori è il traffico assordante di S. Giovanni in Laterano e dentro il silenzio ed il raccoglimento di quanti ripercorrono in ginocchio i passi di quella memorabile ascesa verso Pilato. Superato l'oratorio di S. Silvestro, posto a destra delle scale, ci troviamo di fronte alla cappella di S. Lorenzo, nota come il Santo dei Santi.
L'antica porta bronzea ha due enormi lucchetti ed il tempo per aprirli è sufficiente al custode per raccontarvi quando e come sono state realizzate le ante: nel IV secolo per la Curia Romana. È un tempo dilatato, in cui gli scatti della serratura scandiscono insieme alle parole, gli attimi che precedono l'incanto. Eccoci dentro l'ambiente, opera altissima di maestranze romane e forse francesi attive a Roma sotto Niccolò III, nella seconda metà del XIII secolo.
C'è una targa marmorea posta sulla parete sinistra del vestibolo che ricorda il Magister Cosmatus quale architetto dell’edificio e designer del sofisticato paramento marmoreo, in gran parte di reimpiego, collocato a rivestire il registro inferiore della cappella.
Il nome Sancta Sanctorum dice molto circa l'importanza del luogo, la cui essenza appare a coloro che seguono le indicazioni impercettibilmente nascoste fra i meandri del pavimento: un tesoro imbrigliato fra le maglie di ferro dell'altare, una cassa in legno finemente intagliata al fine di contenere le reliquie più sacre ai cristiani. In effetti, il nome stesso fa eco a quell'andito segreto del tempio di Salomone, dove venivano conservate le più venerate testimonianze degli ebrei.
Qui, nella cappella palatina lateranense, c'erano oggetti santissimi testimoniati da Giovanni Diacono sin dal IX secolo, quali il prepuzio di nostro Signore, parte del triclinio dove si distese durante l'ultima cena, i suoi sandali e il bastone con cui vene percosso, la testa di s. Agnese e le reliquie di s. Pietro, s. Paolo e dei protomartiri cristiani, s. Lorenzo e s. Stefano.
Il soffitto presenta un Cristo benedicente al centro di un clipeo sorretto da angeli, su fondo d'oro. A vigilare su tale inestimabile tesoro è l'Acheiropita di Cristo, icona non dipinta da mano umana, ma da s. Luca e dagli angeli. Protetta nel suo rivestimento argenteo, è l'immagine di Gesù più sacra di tutti i tempi e per questo, prototipo per tutte le rappresentazioni di Nostro Signore. È un'opera incantevole per la sua finissima fattura e giunta leggendariamente a Roma da Costantinopoli, attraverso il Mar nostrum, il Mediterraneo. Dall'alto Medioevo fino al 1563, questa icona partecipava alle processioni mariane in qualità di sponso Virginis. Erano occasioni uniche e quasi pagane in cui il matrimonio di Cristo e Maria era accompagnato da canti e litanie che duravano notti intere. A testimonianza di ciò è la croce dipinta sul retro della tavola, seguita dai fedeli durante le celebrazioni. E come ogni martyrion che si rispetti, nel registro superiore dell’ambiente centrale non mancano le storie di alcuni santi martiri svolte ad affresco lungo le pareti superiori dell'ambiente: il martirio di s. Lorenzo, di s. Stefano, s. Nicola, s. Agnese, s. Pietro e s. Paolo. Essi sono i fondatori dell'Ecclesia di Cristo a Roma ed i protomartiri la cui storia svolge la funzione di exemplum per il papa ed i cardinali che potevano riunirsi nella cappella.
Sulle vele della volta è il tetramorfo a simbolo dei quattro evangelisti. Fra le scene, una colpisce in particolar modo, quella che corre al di sopra dell'altare e dove compare Niccolò III introdotto da s. Pietro e s. Paolo, mentre offre il modellino del Sancta Sanctorum a Cristo. Se sul piano iconografico la scena non costituisce novità, in quanto presente su molte absidi medioevali, dal punto di vista stilistico essa prelude a quella che nei secoli successivi sarà la rinascita della classicità. È così che l'impostazione spaziale del trono del Salvatore, il modellino dell'edificio, gli effetti chiaroscurali delle vesti e degli incarnati, dimostrano come in questo luogo gli artisti abbiano dato l’incipit ad un nuovo concetto di arte, più vicino al verosimile che al trascendente. Rimaniamo incantati nell’osservare i perfetti girali di acanto fuoriuscenti da cantari antichi, riprodotti al lato di ogni scena. La natura ritorna ad essere protagonista, sebbene ancora timidamente, della storia dell’umanità. È qui che il rapporto con il cantiere di Assisi si fa evidente, è qui che si sente l’anelito alla madre Natura di ispirazione francescana. Così, fra rapimento estatico e ragionamento, la visita alla cappella volge al suo termine non senza ripercorrere le tarsie marmoree del pavimento e superare le molteplici porte e ritornare a piazza S. Giovanni, dove il sogno si infrange nel quotidiano negotium. Ed è subito Roma.